Nella giungla del mercato, vince chi sa farsi credere

Introduzione

In un contesto in cui la competizione tra brand è sempre più serrata, l’attenzione del consumatore è distribuita su una molteplicità di canali digitali e fisici. Le aziende sono state chiamate a ripensare profondamente il proprio modo di comunicare, posizionarsi e relazionarsi con il mercato. Il Customer Decision Journey ha superato la visione razionale e lineare del funnel, reso obsoleto dall’evoluzione tecnologica e dall’esplosione dei touchpoint digitali.

All’interno di questa cornice, il concetto di brand driver, ovvero gli elementi distintivi e strategici che motivano la scelta del consumatore verso un determinato marchio, assume un ruolo cruciale. Affinché una value proposition sia davvero efficace, è necessario che essa sia supportata da una Reason to Believe (RTB), ossia da una giustificazione credibile, coerente e tangibile della promessa di valore avanzata dal brand.

Modelli evolutivi: dal funnel al Customer Decision Journey

Nel processo di marketing multidisciplinare, non si può focalizzare l’attenzione su un solo fattore, ma su relazioni complesse che spaziano dalla psicologia alla sociologia, dalla linguistica alla semiotica, dalla finanza al management.

Sin dagli anni 60, con la formalizzazione del pensiero di Kotler, siamo usciti dal campo dell’individuo per entrare in quello del consumatore. La visione neoclassica dell’uomo perfettamente razionale è stata spazzata via gradualmente. Fino ai primi anni del XXI secolo, infatti, il comportamento del cliente-consumatore, nelle logiche del marketing veniva schematizzato mediante fasi sequenziali (attenzione, interesse, desiderio, azione) che culminavano nell’acquisto.

Nel modello proposto da McKinsey & Company, il processo decisionale del cliente è visto come un ciclo continuo che comprende quattro fasi principali: considerazione iniziale, valutazione attiva, momento dell’acquisto e esperienza post-acquisto. Risulta evidente come la relazione con il brand non si esaurisca nel momento della conversione, ma continui attraverso una fase di coinvolgimento, fidelizzazione e potenziale advocacy, in cui il consumatore può diventare promotore attivo del brand stesso.

A differenza del funnel, il CDJ riconosce l’importanza della fase post-vendita e del cosiddetto loyalty loop, nel quale la soddisfazione e l’esperienza vissuta influiscono sui futuri cicli decisionali. L’implicazione strategica è evidente: le aziende devono investire non solo per acquisire nuovi clienti, ma anche per mantenere relazioni solide e durature con quelli esistenti, alimentando così una reputazione positiva e un vantaggio competitivo sostenibile.

In questo nuovo scenario, ogni interazione tra brand e consumatore rappresenta un’opportunità (o un rischio) di consolidamento della relazione. Di conseguenza, la coerenza tra promessa di valore, brand driver e performance effettiva si configura come elemento centrale della strategia di marketing.

Brand driver: definizione e rilevanza

Con il termine brand driver si intendono tutti quegli elementi chiave che influenzano la percezione di un marchio e che, se ben gestiti, possono determinare la scelta d’acquisto da parte del consumatore. Tali driver possono essere sia funzionali (ad esempio la qualità del prodotto, l’innovazione, il prezzo), sia emozionali (si pensi all’identità, allo status o al senso di appartenenza).

La letteratura distingue generalmente tra due tipi di driver fondamentali:

  • Driver rilevanti: quelli che rispondono a bisogni o desideri riconosciuti dal target. Ad esempio, in un mercato attento alla sostenibilità, la responsabilità ambientale può essere un driver rilevante.
  • Driver differenzianti: quelli che rendono il brand unico rispetto ai competitor. Un esempio è la capacità di Nike di coniugare performance sportiva con una narrazione di empowerment personale, rendendola distintiva nel settore.

Affinché un brand driver sia davvero efficace, deve quindi essere al tempo stesso rilevante e differenziante, ossia parlare a un bisogno reale del consumatore e farlo in un modo che nessun altro brand è in grado di replicare con la stessa efficacia.

Nel contesto del Customer Decision Journey, i brand driver agiscono come leve che orientano la preferenza e facilitano la progressione del consumatore da una fase all’altra. Non a caso, molte strategie di brand positioning vincenti si fondano su una chiara definizione e gerarchizzazione dei driver, che vengono poi tradotti in messaggi coerenti e in esperienze memorabili lungo l’intero percorso decisionale.

La Value Proposition e il ruolo della Reason to Believe

La value proposition rappresenta la sintesi della promessa di valore di un brand identificandolo e distinguendolo rispetto ai concorrenti. In altre parole, è l’espressione del vantaggio percepito, dell’utilità e della rilevanza che il brand è in grado di offrire. Tuttavia, affinché questa promessa non rimanga una semplice dichiarazione di intenti, è necessario che sia sostenuta da una Reason to Believe solida, ovvero da una dimostrazione tangibile e credibile della capacità del brand di mantenere la propria promessa.

La Reason to Believe non è soltanto un “corredo” alla value proposition, ma ne rappresenta la garanzia di veridicità, il ponte che collega le aspirazioni del brand con la fiducia del consumatore. Se la value proposition risponde alla domanda “che cosa offre il brand?”, la RTB risponde al quesito “perché dovrei crederci?”.

In ambito strategico, le RTB possono assumere forme diverse:

  • Funzionali: testimonianze oggettive, come dati, brevetti, performance dimostrate (es. “80% in meno di emissioni” o “garanzia a vita”).
  • Esperienziali: si basano sull’esperienza diretta del consumatore, come la facilità d’uso, l’assistenza clienti, il packaging o il punto vendita.
  • Emozionali: fanno leva su valori condivisi, storie autentiche, impegno sociale o coerenza tra parole e azioni del brand.
  • Sociali: includono le recensioni, il passaparola, le testimonianze e le community di utenti.

Secondo la letteratura più recente, la credibilità percepita è un fattore determinante nel costruire la fiducia verso un brand, e le RTB svolgono un ruolo cruciale proprio in questo processo. Senza una Reason to Believe ben costruita, anche la value proposition più accattivante rischia di apparire vuota, artificiosa o addirittura ingannevole. La fiducia, una volta compromessa, è difficile da ricostruire, motivo per cui l’autenticità è oggi un asset competitivo imprescindibile.

Inoltre, la Reason to Believe svolge una funzione fondamentale all’interno del Customer Decision Journey, soprattutto nella fase di valutazione attiva. In quel momento, il consumatore confronta diversi brand sulla base delle loro proposte di valore, e le RTB rappresentano la leva che può spostare l’ago della bilancia. Una promessa supportata da prove tangibili non solo favorisce la conversione, ma può generare un effetto eco nella fase post-acquisto, rafforzando la fedeltà e alimentando il passaparola positivo.

Adidas VS Nike, due declinazioni dello sport

Si è già accennato al marchio Nike in precedenza, evidenziando la costruzione di una value proposition potente, distintiva e perfettamente coerente con i propri brand driver. La sua promessa di valore non si limita alla performance sportiva, ma abbraccia una visione più ampia: “If you have a body, you are an athlete”. Questa affermazione racchiude in sé l’essenza del brand: inclusività, potenziamento individuale, superamento dei limiti.

Michael J. Fox, protagonista della saga “Ritorno al futuro” indossa un paio di scarpe Nike

I brand driver comprendono aree diverse, quella funzionale (qualità tecnica dei prodotti, innovazione continua, collaborazioni con atleti di alto profilo), quella emozionale (senso di appartenenza a una community di persone che lottano per i propri obiettivi), quella culturale e valoriale (impegno verso l’inclusione sociale e la giustizia razziale).

La Reason to Believe fa leva su prove tangibili di innovazione (si pensi alla tecnologia NikeAir) e soprattutto sullo storytelling ispirazionale, spesso basato su storie vere, che coinvolge sia atleti professionisti sia persone comuni, con un particolare riferimento in questo ultimo caso al noto slogan “Just do it”.

Nike non si limita a dire “ti aiuteremo a raggiungere i tuoi obiettivi”, ma lo dimostra attivamente attraverso prodotti, contenuti e azioni di brand activism. La coerenza tra messaggio, esperienza e valori rappresenta una RTB fortissima, che si traduce in un vantaggio competitivo duraturo.

Il marchio storicamente antagonista a Nike e sicuramente iconico è Adidas che ha saputo reinventarsi negli anni, puntando su innovazione tecnologica, sostenibilità ambientale e connessione con la cultura urbana e sportiva. A differenza di Nike, che ha posto al centro il concetto di empowerment personale, Adidas costruisce la propria identità su una combinazione di performance, autenticità culturale e responsabilità sociale.

I brand driver, pur coprendo le medesime aree in cui anche Nike posiziona le proprie leve, si articolano in modo distintivo basandoli su qualità tecnica elevata e innovazione dei materiali (funzionali), identificazione con una cultura streetwear che fonde sport e lifestyle (emozionali), impegno concreto verso la sostenibilità e la produzione etica (valoriali).

Di conseguenza la Reason to Believe di Adidas si fonda su collaborazioni con designer, artisti e celebrità che rafforzano l’appeal culturale del brand. Nel 2015 Kanye West ha creato le Yeezy, rivoluzionando lo streetwear, con un design distintivo e un mix tra sport e lusso. Non solo scarpe: anche abbigliamento, con un’estetica minimalista. Dallo stesso anno Adidas collabora con “Parley for the Oceans”, organizzazione che raccoglie rifiuti plastici dagli oceani e li trasforma in materiali riutilizzabili. Nel 2021 Adidas ha prodotto oltre 30 milioni di paia di scarpe con plastica oceanica riciclata rendendo il claim “End Plastic Waste” non solo comunicazione, ma azione tangibile su larga scala. A Londra, invece è nato l’Adidas “Her Studio London”, uno spazio creato per coinvolgere le donne in attività gratuite legate al fitness e alla consapevolezza del corpo, che (Reason to Believe) promuove il benessere e la partecipazione attiva delle community locali.

Non solo multinazionali, il CDJ salva anche le piccole realtà

Giuseppe Magnante Fralleone, autore del volume su Paolo Ciulla, presso lo stand di Cartamoneta.com durante la 139esima Veronafil.

Gli strumenti fin qui elencati potrebbero apparire riservati a grandi realtà, che dispongono di ingenti capitali. Possono, invece, incidere significativamente anche su brand meno noti, come accade per Cartamoneta.com, un e-commerce specializzato nel collezionismo numismatico, in particolare nella compravendita di banconote da collezione. Il progetto, estremamente verticale, ha saputo evolversi da semplice catalogo online a brand identitario per appassionati, collezionisti ed esperti del settore. In un contesto altamente frammentato e tradizionalmente orientato al B2C statico, Cartamoneta.com si propone di ridefinire la value proposition attraverso tre leve: autorevolezza, esperienza dell’utente e community.

I brand driver “rilevanti” garantiscono affidabilità (descrizioni dettagliate, trasparenza sui gradi di conservazione) e accessibilità dell’offerta (il primo sistema di vendita online nella categoria). I brand driver “differenzianti” passano attraverso la verticalità assoluta sul segmento (che lo distingue da altri marketplace ed e-commerce, tradizionalmente orientati anche su altre tipologie di prodotto) e un tono di voce editoriale e contenutistico, che posiziona il brand anche come punto di riferimento culturale e informativo. In questo contesto, la value proposition di Cartamoneta.com si può sintetizzare come un’esperienza di collezionismo digitale, attraverso la quale si coniuga l’affidabilità alla passione per numismatica e storia.

La content strategy specialistica viene supportata da articoli, rubriche e schede storiche, ma anche partnership con musei ed esperti del settore. Ad esempio, per una recente pubblicazione sul falsario Paolo Ciulla, Cartamoneta.com ha fornito gratuitamente all’autore la quasi totalità del materiale grafico e una consulenza scientifica, ottenendo un ritorno in immagine agli occhi degli appassionati. La visibilità e il successo del romanzo hanno spinto la ricerca di quella tipologia di prodotto da parte dei collezionisti. La Reason to Believe, supportata da evidenze tangibili, coerenti e misurabili, si può riassumere nell’idea per cui acquistando su Cartamoneta.com la tua banconota è autentica, certificata e gestita con la stessa cura di un archivio museale.

In linea con le scelte di aziende più strutturate, Cartamoneta.com ha attivato una logica di CDJ circolare, puntando su contenuti e servizi che mantengano alta la relazione anche dopo l’acquisto, tra cui newsletter e sconti personalizzati per fidelizzazione e loyalty, ma anche community social per advocacy e condivisione delle collezioni personali.

Nella giungla del mercato vince chi ha creato il proprio branco

In qualsiasi contesto ci troviamo, qualsiasi quota di mercato rappresentiamo, il Customer Decision Journey ci insegna che non è più sufficiente essere visibili o performanti: serve essere riconoscibili, rilevanti, autentici.
I brand driver e le Reason to Believe non sono ornamenti strategici, ma fondamenta per costruire una relazione duratura con il cliente. Ogni touchpoint è un’opportunità per confermare, rafforzare e raccontare la promessa del brand, generando fiducia e differenziazione.
Nel caos competitivo del mercato, sopravvive e cresce chi ha saputo costruire intorno a sé una community fedele, ingaggiata e orgogliosa di appartenere al “branco”.
La sfida non è soltanto catturare l’attenzione, ma meritarsi la fiducia. E per farlo, ogni brand, grande o piccolo che sia, deve iniziare a costruire la propria RTB, giorno dopo giorno.

Bibliografia

  1. Giorgino, 2 marzo 2024, Manuale di Comunicazione e Marketing, LUISS University Press
  2. K.L. Keller, 2008, Strategic Brand Management: Building, Measuring and Managing Brand Equity, Pearson Prentice Hall
  3. M., David Court, Dave Elzinga, Susan Mulder, and Ole Jørgen Vetvik (James O. McKinsey & Company), 2008, The consumer decision journey, consultabile su https://www.mckinsey.com/capabilities/growth-marketing-and-sales/our-insights/the-consumer-decision-journey#/
  4. Baccelloni, A., Olivieri, M.G., Fattoruso, G., Squillante 2021, Il processo decisionale del consumatore: un approccio multicriteriale, Senza Valore – Editoriale Scientifica, Vol. 80
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